di Francesca Senna
Il romanzo suddiviso in tredici capitoli, in cui viene narrata la vita
di Bastiano, ha la particolarità che all’apertura del primo e alla chiusura dell’ultimo
ci troviamo a condividere la stessa ambientazione: una buca scavata nel terreno.
La partenza e l’arrivo di
questa narrazione finiscono quindi per combaciare.
Sottoterra, nel
buco, Bastiano c’è stato portato a 5 anni, assieme alla madre e al padre
disertore che li ha nascosti per sfuggire ad un plotone d’esecuzione in quanto
disertore.
La mamma durante
questa reclusione gli narra di queste figure tremende, i cariolanti, che rapiscono
i bambini per poterseli mangiare – se questi non sono obbedienti ai genitori - caricandoli
su una carriola.
Da inquietanti
protagonisti di racconti che spaventano il protagonista i Cariolanti, diventeranno
il cognome scelto dalla famiglia quando si tratterà di uscire dalla
clandestinità.
Campagna toscana, 1918. In questo buco la famiglia passa tutto il suo tempo;
il padre esce solo per prendere l'acqua e per cacciare. Quando non ne trova bisogna
affondare le dita nella terra umida per tirarne fuori un verme o una radice….o rassegnarsi
a mangiare carne umana.
Bastiano strappato dalla propria famiglia al contesto societario comune
si trasformerà, o per meglio dire regredirà, lungo la sua esperienza di vita,
in un animale. La sua esistenza – adeguandosi alle aspre leggi della natura che gli permetteranno di sopportare maltrattamenti, stenti e privazioni- sarà l’emblema di come il succedersi delle disgrazie ti
può trasformare in un animale selvatico, primitivo. Animale che imparerà a
muoversi con furbizia, guidato dagli istinti, incapace di gestire le più
elementari emozioni.
L’autore
ricorre a tutta la durezza espressiva possibile per descrivere la brutalità di questo
“mostro”, diventato tale per esigenza, per sopravvivenza, e non per scelta.
Con abilità riesce a bilanciare in modo
eccellente la sgradevolezza della trama, degli episodi cupi e violenti
attraverso il continuo parlare del protagonista. Bastiano narra, con un flusso continuo, fin nei
dettagli, tutti gli eventi che si susseguono nella sua esperienza e lo fa
attraverso un linguaggio povero, impreciso, imperfetto, mescolando ingenuità e
ferocia, stupore e rabbia di fronte a ciò che gli capita. Ne consegue che –
sotto questa luce - non riesce a sembrarci cattivo. Mai il male che causa negli
altri sembra essere frutto di cattiveria gratuita, ma diventa l’istintiva e a
volte impulsiva conseguenza ai soprusi ricevuti. Il suo continuo narrare alternato alla sua volontaria
scelta di non comunicare (mutismo) che ce lo fa caratterizzare come uno strano,
come lo scemo del villaggio; e come tale è sospettoso, schivo.
In tutto questo percorso
è sempre accompagnato da una feroce compagna: la fame, quella che è talmente
pressante che a tutti i costi ti impone di mangiare (per primo) per non soccombere
e essere mangiato. E’ la legge della giungla dove non esiste morale ma solo bisogno.
In questo romanzo
Bastiano – a differenza di buona parte della letteratura - compie un viaggio a ritroso, di involuzione,
tornando come ultima fase della propria esistenza dentro il ventre della terra
(da dove tutto era iniziato) e dove ritrova il padre. Il genitore però è già
cadavere; gli rimane solo la consolazione di riconoscerlo come colui il quale
ha fatto tutte quelle scelte scellerate con il solo scopo di proteggerlo, lui e
tutta la sua famiglia, come poteva.
Palese in questo ultimo
capitolo il richiamo a Carlo Collodi e al suo Pinocchio, nel momento narrativo
in cui il burattino – dopo mille peripezie ritrova nella pancia del pescecane
il povero babbo. Sottile anche il richiamo alla fame presente nei due testi, lì
dove Geppetto esorta il figlio capriccioso a cambiare atteggiamento – ad essere
meno schizzinoso - perché la fame può arrivare da un momento all’altro.
In questo
percorso di trasformazione, apparentemente comune tra le due opere, però
abbiamo che mentre in Pinocchio la rinascita è un miglioramento, per Bastiano la
rinascita si presenta come la conferma del proprio regredire alla propria
indole animale dalla quale non riesce a riscattarsi nonostante le intenzioni.
Ritorna quindi a
galla la grande questione, tanto in voga durante il periodo dell’Illuminismo
sulla natura dell’essere umano. Ecco perché ritengo che in questo percorso
narrativo evolutivo il personaggio di Sasha Naspini possa farsi accompagnare,
senza nulla togliere, dai personaggi di opere come “Il signore delle Mosche” di
William Golding o “Niente” di Teller Janne, per fare solo alcuni nomi.