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lunedì 21 marzo 2016

#Romabattequorum. Il 22 Marzo assemblea pubblica al IX Municipio

Il 22 marzo alla Sala Consiliare del IX Municipio di Roma Capitale DazebaoNews promuove un'Assemblea Pubblica per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’imminente referendum sulle trivellazioni che si terrà il prossimo 17 aprile. 
All’evento saranno presenti esponenti di associazioni e organizzazioni ambientali. 
Introduce e modera Alessandro Lepidini, presidente Commissione Ambiente IX Municipio Roma Capitale, editorialista DazebaoNews 
Intervengono:
   Katiuscia Eroe, Ufficio Energia e Clima di Legambiente Nazionale
   Ferdinando Bonessio, portavoce Verdi Lazio
   Maria Rapini, segretario generale dell’Associazione MareVivo
   Giuseppe De Marzo, economista, attivista di Libera
22 marzo ore 17
Sala Consiliare - IX Muncipio Roma Eur
Largo Peter Benenson - Via Ignazio Silone 1° ponte
L’iniziativa referendaria promossa da nove regioni, chiama gli elettori ad esprimersi sul rinnovo delle concessioni entro le 12 miglia. È un referendum di straordinaria importanza per difendere il mare dalla brutale violenza dei petrolieri, ma a poco più di un mese dal voto, specialmente nelle regioni non direttamente coinvolte, è praticamente sconosciuto agli aventi diritto, la cui partecipazione è essenziale per il raggiungimento del quorum di validità (50% +1)”.  
Come in ogni referendum abrogativo, raggiungere il quorum è quindi fondamentale e per sostenere questa battaglia e informare sui possibili rischi il prossimo 22 marzo terremo in sala consiglio del IX Municipio la prima assemblea pubblica #Roma #battiquorum. 
Questa iniziativa, a sostegno delle ragioni del sì, vuol informare, coinvolgere e chiamare alla partecipazione attiva cittadini, comitati, associazioni e reti a difesa del mare, anche perché le lotte ambientali si vincono attraverso la mobilitazione di tutte le energie disponibili. Si tratta di un’iniziativa alla quale dovranno necessariamente seguirne altre perché vogliamo fare ogni sforzo affinché il 17 aprile si trasformi in una festa di vera democrazia e partecipazione esprimendo un voto per il mare e iniziando a scrivere la parola fine alla barbarie delle trivellazioni nei nostri meravigliosi mari.
Per maggiori informazioni 

martedì 21 gennaio 2014

RIFIUTI LAZIO: FERMARE IL MALAFFARE SI PUO’ E SI DEVE.

Come superare il “metodo Cerroni” e le infiltrazioni criminali  nella gestione dei rifiuti nel Lazio.

così un cittadino di Ariccia ha reagito alla
notizia dell'arresto di Manlio Cerroni
Un vero tsunami quello che, partendo dalla Procura di Roma, si è abbattuto sul sistema politico-imprenditoriale che per circa 40 anni ha gestito lo “smaltimento dei rifiuti” nella capitale e nell’intera Regione Lazio.
Chiunque si appresti a ragionare su quanto è accaduto, non può non riconoscere ampio merito ai Comitati di Albano che nel 2009 si rivolsero agli inquirenti della Procura di Velletri presentando un circostanziato esposto-denuncia contro le “disinvolte” procedure tecnico-amministrative seguite dalle Amministrazioni per autorizzare quello sarebbe dovuto diventare il grande inceneritore di rifiuti dei Castelli.
Ciò che lentamente emergeva dalle indagini avviate dalla Procura velletrana, che come riferiscono gli inquirenti è risultata per fortuna essere autonoma dal controllo operato attraverso il “metodo Cerroni”, apparve ai Pubblici Ministeri di così ampia rilevanza con il coinvolgimento di numerose Istituzioni aventi sede nella capitale, da rendere necessario il trasferimento degli atti alla Procura di Roma.
Ripetuti sono stati i tentativi di sabotare le indagini dei P.M., ma deve far riflettere che “qualcuno” è addirittura arrivato a “far sparire” il fascicolo con la richiesta di arresto per gli indagati dalla sede degli uffici di piazzale Clodio.
È chiaro che, ad un certo punto delle indagini, nessuno si è più potuto “voltare dall’altra parte” come era accaduto più volte in passato quando si tendeva a derubricare l’insieme di quei reati come necessari per una non meglio definita “pubblica emergenza”.
Ferdinando Bonessio
Da non sottovalutare che, con il trasferimento a Roma delle indagini, la Procura ha potuto riscontrare l’attendibilità e la veridicità dei tanti esposti presentati dal Comitato Malagrotta prima e, successivamente, dagli altri Comitati sorti a difesa del proprio territorio.
Ora ci si trova davanti a un bivio.
Da una parte vi è il rischio di consentire al “malaffare” di risorgere dalle proprie ceneri e ricostituirsi come soggetto pronto a rientrare nel grande affare dei rifiuti continuando una criminale speculazione economica e un reiterato attacco all’ambiente ed alla salute dei cittadini.
Dall’altra vi è la clamorosa opportunità di cambiare veramente registro, di intraprendere la via di un modello sostenibile nella “gestione dei rifiuti” di Roma e del Lazio realmente lecito, trasparente e partecipato.
Di fronte a questo bivio ci siamo tutti: i cittadini, i comitati, le associazioni, le forze politiche e le istituzioni a livello comunale, provinciale e regionale.
I primi, i cittadini e le rappresentanze territoriali, dovranno compiere un grande sforzo di coesione comprendendo che esiste ormai un’unica “vertenza rifiuti Lazio” dalla quale si esce vincitori tutti insieme o si perde tutti, trascinando nel disastro anche le prossime generazioni e le comunità locali.
I secondi, forze politiche ed Istituzioni, debbono iniziare realmente a mettersi, senza alcun ulteriore ritardo, dalla parte della difesa dei “beni comuni” che in questo caso sono rappresentati dalla irrinunciabile salvaguardia dell’ambiente e dalla tutela della salute dei cittadini.
La partita non è semplice; il malaffare è pronto a riprendersi le redini di quello che con l’attuale impostazione del vigente Piano Regionale Rifiuti rimane il grande business dei rifiuti.
Il metodo è ormai chiaro e ripetutamente denunciato dai Comitati: si tiene basso o comunque lento e complicato il crescere della raccolta differenziata porta a porta, si sceglie di puntare su impianti a ad “alto costo economico” e ad “alto impatto ambientale” come i TMB e gli inceneritori (molti di proprietà privata), si cerca una mega-discarica, ipocritamente chiamata “di servizio”, si sostiene il tutto con gli enormi “incentivi statali” a fondo perduto di cui beneficia chi in Italia (unico Paese in Europa) produce corrente elettrica dalla combustione dei rifiuti.
Da aggiungere che questo quadro sembrerebbe essere ulteriormente confermato dalla nuova scelta delle Amministrazioni laziali di puntare sugli impianti di “Biodigestione”. Questi altro non sono che centrali elettriche a biogas anch’esse sostenute dal sistema degli incentivi statali che veicolano enormi flussi di denaro.
Poco importerà alla collettività se a riprendere l’attuazione di questo scellerato piano sarà nuovamente un risorto Cerroni od un altro imprenditore romano senza scrupoli che, dalle pagine di un noto quotidiano di sua proprietà, attualmente inveisce contro tutto e tutti pronto a scendere in campo per la sostituzione.
Quello a cui si deve puntare senza se e senza ma, cittadini e istituzioni insieme, è un vero cambio di passo sulla gestione dei rifiuti che tolga definitivamente di mezzo l’attuale metodo di “smaltimento” ad insostenibile impatto ambientale e con esso l’interesse del “malaffare” per quello che è un sistema drogato dagli enormi proventi economici generati dalla proprietà privata degli impianti e dall’accaparramento degli incentivi pubblici.
Bisogna ricordare che il Governo, attraverso il GSE, era pronto sostenere la realizzazione dell’inceneritore di Albano con quasi 400 milioni di Euro. Un’immensa massa di denaro pronta ad accendere gli interessi di affaristi, imprenditori senza scrupoli e classe politica.
Ora, visto che anche dalla proposta del nuovo piano regionale rifiuti è stata cancellata la necessità di realizzare l’inceneritore dei Castelli, tutti dovremmo chiedere che lo Stato riversi quei finanziamenti già accantonati per realizzare un’impiantistica del tutto nuova.
Si tratterebbe di una serie di impianti a medio-basso costo, con un impatto ambientale senza dubbio inferiore e ad alto livello occupazionale che renderebbero il Lazio autosufficiente nella lavorazione dei materiali provenienti dalla raccolta differenziata.
La stessa AMA dovrebbe rilanciare il proprio “piano industriale” puntando a diventare leader nella raccolta differenziata di qualità e titolare di impianti per la lavorazione freddo dei materiali riciclati da riciclare.
È solo da un rifiuto differenziato di qualità, raccolto con il coinvolgimento attivo di tutta la popolazione, che si troverebbero le risorse economiche adeguate a sostenere industrialmente un sistema che veramente considera il rifiuto come una risorsa da recuperare e non come uno scarto da conferire in discarica od un combustibile da trasformare in energia.
Le Amministrazioni pubbliche dovrebbero rivalutare nella gestione virtuosa dei rifiuti il ruolo strategico che potrebbero avere le piccole e medie imprese del Lazio nonché il settore delle cooperative avendo come obiettivo quello di contribuire a rilanciare l’occupazione ed a spazzare via qualsiasi nuova forma di monopolio nel settore.
Mai più mega-discariche private, altrettanto dannose e quasi impossibili da bonificare, ma l’adozione da parte della Regione di un progetto di gestione rifiuti che vada verso la strategia Rifiuti Zero in 6 mosse concrete:
1)   Riduzione della produzione di rifiuti;
2)   Riuso di tutti i beni ed i materiali recuperabili;
3)   Raccolta differenziata spinta porta a porta domiciliare o condominiale contestuale ed obbligatoria per tutti i comuni del Lazio;
4)   Realizzazione di impianti a freddo per la lavorazione finalizzati al massimo recupero dei materiali e della frazione organica (compostaggio aerobico) provenienti dalla Raccolta differenziata;
5)   Sostegno alla creazione di una rete di centri dedicati al riciclo dei materiali recuperati.
6)   Individuazione, attraverso la partecipazione e la responsabilizzazione delle comunità locali di aree dove collocare piccole “discariche residuali”.



È inoltre necessario inserire come elemento importantissimo nella strategia da perseguire la disincentivazione di tutte le forme di incenerimento dei rifiuti (CDR e CSS), attualmente utilizzabili anche negli altiforni dei cementifici e delle centrali termoelettriche.
Tale scelta va presa anche in considerazione del fatto che l’intera Europa sta ormai abbandonando progressivamente questa pratica (la UE nelle nuove linee strategiche ambientali ha approvato il divieto dal 2020 di incenerire qualsiasi rifiuto riciclabile).

Solo partendo dalla condivisione di una proposta così articolata che parta dalle scelte strategiche sopra indicate, sicuramente da approfondire e migliorare, si può pensare per il Lazio ad una gestione dei rifiuti organizzata nell’interesse diffuso dei cittadini, definitivamente sottratta ai signor Cerroni di turno o ai loro pronti e rapaci eredi.
NANDO BONESSIO Presidente Verdi Lazio

mercoledì 13 novembre 2013

LEGGE DI STABILITÀ, CI RIPROVANO: CON LA SCUSA DI FARE CASSA VOGLIONO VENDERE LE NOSTRE COSTE.



Ferdinando Bonessio
di Ferdinando Bonessio

Può una crisi economica comportare una scelta di governo così oscena ed antidemocratica come quella di mettere in vendita per l’ennesima volta un bene comune, patrimonio di tutti?
No, nulla può giustificare la proposta di sdemanializzazione delle spiagge presentata con un emendamento del PDL alla legge di stabilità attualmente in discussione al Parlamento.
E’ qualcosa di semplicemente schifoso, che va fermato perché sancirebbe la completa privatizzazione di una delle caratteristiche “bellezze paesaggistiche” del nostro Paese con la conseguente ulteriore cementificazione delle nostre coste.
Invece di vedere aumentare la tutela di questo patrimonio, come conseguenza di un’eventuale approvazione della proposta i cittadini italiani e le future generazioni verrebbero espropriati di un bene che appartiene a loro ovvero alla collettività.
Di fatto si tratta di un’operazione di tutela di interessi per una lobby che è sempre stata molto forte ed è stata sempre spalleggiata da una politica pronta a mantenere promesse ed a ricambiare favori elettorali.
In Italia, dal dopoguerra ad oggi, sono state rilasciate dallo Stato italiano, prima dalle capitanerie di porto e poi dalle regioni, 30mila concessioni sul demanio marittimo legate a 15mila stabilimenti balneari che insistono su 600 comuni costieri.
Il tutto è avvenuto sempre senza alcuna gara di evidenza pubblica: le concessioni, prima nominali, si sono trasferite nel corso degli anni da padre in figlio, successivamente sono state vendute attraverso la creazione di società di gestione di servizi: un vero e proprio “diritto ereditario” mai volutamente corretto o regolamentato dalle istituzioni pubbliche.
La “sdemanializzazione” sarebbe anche un espediente per aggirare quanto da tempo ci chiede l’Unione Europea: l’Italia si adegui alla direttiva Bolkestain, assegnando in concessione gli arenili demaniali in base ad aste pubbliche e a criteri trasparenti.
E mentre si perpetrano questi trattamenti di favore le spiagge italiane sono diventate le più cementificate d'Europa, gli accessi al mare sono spesso consentiti, violando la legge, solo attraverso il pagamento di un pedaggio.
I lungomari si sono stati trasformati in un lungomuri di cemento che impediscono l'accesso e la vista mare nonché la possibilità di godere liberamente del bene-paesaggio.
Questa situazione riguarda circa 4.000 km di spiaggia degli 8.000 che costituiscono le coste italiane.
Se si considera che quasi 3.000 km di costa sono rocciose o occupate da servizi portuali, immediatamente si comprende che in proporzione le “spiagge libere” sono una percentuale irrisoria ed assolutamente sproporzionata a tutto danno di chi vorrebbe godere liberamente del diritto alla balneazione.

       Le concessioni complessivamente riguardano un’enorme estensione di territorio e di fatto, soprattutto a causa della mancata vigilanza degli organi proposti al controllo, sono oggetto di un progressivo processo di privatizzazione: come detto, spesso la legge che garantisce il libero accesso al mare, fatta approvare con fatica dai Verdi e dagli Ecologisti alla fine degli anni ‘90, viene del tutto ignorata.

Per non parlare della cementificazione selvaggia che, a causa dell’assenza di qualsiasi minimo controllo, ha sempre seguito le concessioni.

Come abbiamo detto, in Italia si contano circa 30.000 concessioni che, partendo dall’estensione media di una concessione valutata in circa 3.000 metri quadri, sviluppano complessivamente 90 milioni di m2 pari a 9.000 ettari.
La media di superficie occupata/cementificata è in media del 20% dell’estensione delle concessioni, ossia tra stabilimenti, servizi, cabine, piscine, palestre, ristoranti, bar, locali notturni, negozi, alloggi personale, centri benessere, equivalgono ad una “colata di cemento” di circa 18.000.000 (diciottomilioni) di m2 direttamente “fronte mare”.
Una cifra che non è paragonabile a nessun paese d'Europa. In Francia esiste una fondazione pubblica che si chiama Conservatoire du littoral che acquisisce coste e spiagge tutelandole come bene comune, per non parlare dell'Inghilterra o degli stessi Stati Uniti d'America culla del liberismo economico.

Ma c’è di più: oltre il danno la beffa.
Come è noto le nostre spiagge sono oggetto di erosione a causa dell’antropizzazione selvaggia che spianando le dune, cementificando l’entroterra e costruendo miriadi di porti turistici, ha modificato l’ecosistema che non ha retto all’impatto.
E’ sicuro che in un domani prossimo i gestori privati delle spiagge chiederanno allo Stato di sostenere le spese per le opere di difesa necessarie per impedire alle mareggiate di spazzare via tutto, realizzando barriere, effettuando ripascimenti, sistemando massi di pietra e tetrapodi di cemento.
E non sarà più possibile prevedere, neppure lontanamente, di rimuovere e spostare con costi minori ed effetti migliori impianti e attrezzature commerciali-balneari che l’attuale legislazione definisce come “precarie“ e sono la concausa della modificazione dell’habitat costiero.
Ma quanto incassa (o sarebbe meglio dire “non incassa”) lo Stato dalle concessioni del demanio marittimo?
Dai dati ufficiali dell’Agenzia del Demanio Marittimo si riscontrano 102 milioni di euro nel 2012, mentre nel 2010-2011 circa 90 milioni di euro e gli anni precedenti la metà.
In sintesi lo stato incassa 3.400 euro a concessione, mentre gli incassi che gli stabilimenti balneari realizzano ogni anno in Italia si aggirano intorno ai 10 miliardi di euro.
Gli incassi così irrisori sono dovuti ai bassi canoni di concessione applicati in base alla legge 27 dicembre 2006 n. 296 comma 251 che prevede: per le aree scoperte destinate alla balneazione 1,27 € x metro2/anno e per quelle dove insistono attività commerciali 2,12 € x metro2/anno.
Ma nonostante questo, l’applicazione delle tariffe è bloccata da una proroga governativa che impedisce l’entrata in vigore degli adeguamenti del 2006.
Lo scandalo appare più evidente se si passa a calcolare l’effettivo canone che questi gestori privati delle spiagge pagano attualmente alla collettività: in pratica uno stabilimento di 10 mila metri2 (1 ettaro) corrisponde un canone, applicando l’indice fermo a prima del 2006, irrisorio di 1 euro e 10 centesimi a metro2/annuo per complessivi 11.000 €/anno che equivalgono a 900 €/mese mentre incassa milioni di euro considerando solo il fatturato denunciato all’Agenzia delle Entrate.
Un vero e proprio regalo!
Ma c’è di più: nonostante la Legge lo prevedesse, in applicazione di una disposizione europea del 1993, il governo negli ultimi 10 anni non ha provveduto ad inserire le entrate delle concessioni nel Rendiconto Generale dello Stato e quindi di conseguenza nel bilancio non compaiono i ricavi derivanti dalle concessioni del demanio marittimo.
Quindi negli ultimi 10 anni è venuta meno la contabilizzazione di una somma importante, seppur inadeguata.
Perché è stato fatto?
Perché c'è un ritardo nell'accatastamento delle cubature realizzate dai concessionari sulle spiagge italiane?
Forse se quelle cifre fossero state inserite nel rendiconto generale dello Stato, e quindi del bilancio, più di qualcuno avrebbe potuto rendersi conto dell’enorme truffa?
Di certo avremmo evitato agli italiani qualche taglio, ad esempio sulla sanità, sul trasporto pubblico o sull’istruzione.
La vendita delle spiagge è un atto indecente che va assolutamente fermato.
Non possiamo consentire che venga cancellato un diritto basilare, esistente da sempre, quello del libero accesso alle spiagge e al mare che finora è stato garantito proprio dalla demanialità.
Occorre mobilitarsi per impedire questa operazione disastrosa. Nel 2011 una analoga operazione, che concedeva le spiagge ai soggetti già titolari di concessione per 90 anni, contenuta nel decreto sviluppo, venne bloccata dal Presidente della Repubblica e le concessioni vennero ridotte a 20 anni senza per questo riuscire a soddisfare le richieste della UE.
Appelliamoci di nuovo al Presidente, mobilitiamo scienziati, università, geologi, paesaggisti, investiamo il Ministero della Difesa e quello dei BBCC, coinvolgiamo tutti coloro che riceverebbero un danno non risarcibile da questa operazione priva di di sostenibilità muoviamoci tutti, fra pochi giorni potrebbe essere troppo tardi.
Come Verdi Ecologisti siamo pronti alle “barricate democratiche" e ad assediare pacificamente il Parlamento per difendere un bene comune che “appartiene a tutti".
Quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa un dovere!

Cos'è il DEF, Documento di Economia e Finanza

  Il DEF, o Documento di Economia e Finanza, è il principale strumento di programmazione economica e finanziaria dell'Italia. In esso il...