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giovedì 31 luglio 2014

Le strampalate stime

 Stime riviste al ribasso”. È questa la formula che più delle altre pare caratterizzare gli ultimi mesi.
È sempre più frequente infatti leggere di anticipazioni tradotte in numeri che, puntualmente, qualche settimana dopo vengono smentiti dalla triste realtà che continua a contraddistinguere il nostro Paese.
Il caso più eclatante riguarda direttamente il Prodotto Interno Lordo, per l’ennesima volta clamorosamente sovrastimato da praticamente tutti gli uffici studi che si erano avventurati in quello che, ormai, sembra esser diventato compito alquanto ardito: prevedere.
Assai di recente difatti si è vista costretta a correggersi Bankitalia, tagliando le stime del Pil per il 2014 da +0,7% a +0,2%, accompagnata dal centro studi di Confindustria. In linea con Palazzo Koch anche il Fondo Monetario Internazionale, che attesta le proprie aspettative su un non più rincuorante +0,3% (rispetto al precedente +0,6%).
Unico a mantenere la propria posizione originaria (per il momento) è il Governo, fedele al +0,8% messo nero su bianco nel Def dello scorso aprile che, tuttavia, già incorporava una revisione al ribasso della previsione contenuta nel pregresso Documento Programmatico di Bilancio di ottobre (+1,1%). “Per il momento” appunto, specialmente stando alle ultime dichiarazioni del Premier che lasciano intendere un nuovo, repentino dietro front.
Statistiche alla mano ed osservando il trend delle correzioni “negative” apportate di volta in volta, il presentimento che alla fine del 2014 i dati reali possano certificare l’imbarazzante crescita “zero” non è poi così azzardato e, a sostegno di un pronostico tanto allarmante, interviene lo “storico” di questi ultimi anni, troppo spesso contrassegnati da promesse rivelatesi alla fine l’ombra di se stesse.
Alcuni esempi? Si parlava di ripresa già nel 2009, quando Confindustria ammetteva sì il periodo di recessione, ma preannunciava un’immediata inversione di tendenza che, puntualmente, non si è verificata.
Non da meno il Governo Berlusconi, che ad un solo anno di distanza assicurava l’uscita dal tunnel puntando sul ritrovato ottimismo degli italiani, fatto salvo il ritrovarsi di lì a dodici mesi a dover scommettere nuovamente su una fantomatica rinascita in occasione dell’anno successivo.
Sarà poi la volta di Draghi, convinto nel preconizzare una “ripresa graduale” per il 2012, cui farà seguito il Premier Monti, costretto dai risultati a spostare l’asticella un anno in avanti (2013).
In tempi non sospetti è stato invece Enrico Letta ad aggregarsi ai suoi predecessori, parlando nientemeno di “tempesta finita” in vista del 2014.
Niente di tutto ciò si è verificato. Anzi. Non solo l’auspicata crescita non ha avuto luogo, ma addirittura tra un annuncio e l’altro si è registrato un lento ma inesorabile peggioramento della situazione immediatamente precedente. Sintetizzando: l’Italia, dal periodo pre-crisi ad oggi, ha perso ben oltre sette punti di Pil.
In virtù di tale tendenza, in virtù di stime che vengono continuamente corrette al ribasso, in virtù dell’allarme lanciato da Bankitalia che intravede la necessità di reperire almeno 14 miliardi per il 2015 soltanto per mantenere la promessa di rendere strutturale il bonus di 80 euro e per conseguire il saldo programmato nel 2015 (al netto dunque di quanto sarà necessario accantonare per rientrare nel vincolo del Fiscal Compact), cosa c’è da aspettarsi dall’ennesima profezia (“Le statistiche inizieranno a migliorare dal 2015”) stavolta targata Matteo Renzi?


Daniele Serio

mercoledì 22 gennaio 2014

L’ombra dell’Europa


Crisi, recessione, luce in fondo al tunnel che tarda ad intravedersi. È questo il ritornello più in voga da qualche mese (o forse anno?) a questa parte. Ma se per qualcuno “il peggio è ormai alle spalle”, probabilmente sarebbe il caso di armarsi di santa pazienza e di una buona dose di coraggio per fronteggiare al meglio ciò che ci aspetterà nel prossimo futuro.
Patto di bilancio europeo”, “Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria oppure, più semplicemente, “Fiscal compact. È questo lo spettro che aleggia sul nostro Paese e su molti altri in nome del “ce lo chiede l’Europa”.
L’accordo, approvato con trattato internazionale il 2 marzo 2012 ed entrato in vigore il 1º gennaio 2013, rischia di celare dietro le sue cosiddette “regole d'oro" la definitiva pietra tombale per la nostra economia.
A partire dal 2015 l’Italia sarà condannata a rispettare parametri a dir poco utopistici quale, su tutti, un rapporto debito/PIL non superiore al 60% (per la cronaca, siamo oltre il 133%). Avremo vent’anni di tempo, anche se il conto alla rovescia sembra già iniziato. A quel punto si ricorderanno nostalgicamente le baruffe per raccogliere, tra le macerie del territorio, l’irrisoria cifra di 4 miliardi di euro per sospendere una rata dell’Imu, vere e proprie briciole a dispetto dello spropositato sforzo economico cui saranno soggiogati tutti gli italiani.
Con un debito pubblico che assurge oramai a livelli impensabili (siamo a 2.104 miliardi, nuovo record) e con l’onnipresente cappio al collo rappresentato dal rispetto di quel 3% nel rapporto deficit/PIL, i futuri governi dovranno sobbarcarsi l’onere di reperire risorse tanto mastodontiche quanto insostenibili (si parla di decine di miliardi di euro, ogni anno per 20 anni) con lo scopo di assicurare una riduzione media annua del rapporto debito/PIL di 3,65 punti percentuali (che, stando all’attuale situazione, è il minimo indispensabile per rientrare nel perimetro richiesto nei termini temporali stabiliti).
Come fare? Malgrado sia oramai appurato che austerità e tasse deprimono i salari reali e annullano i consumi, non sarà percorsa altra strada che la più semplice: quella fiscale. Ancora tasse, come non fosse già abbastanza. Confcommercio ha recentemente rilevato che quello appena toccato collima con il livello di tassazione più elevato nella storia del nostro paese ed il problema è che tutto ciò, oltre ad annichilire i consumatori, annienta quasi radicalmente le velleità di ripresa da parte delle imprese, sottomesse ad un sistema che riserva loro trattamenti se possibile ancor più aspri. Come non bastasse, i rubinetti delle banche sono incontestabilmente chiusi in modo ermetico (Osservatorio Credito Confcommercio e Banca d’Italia) e, in un contesto del genere, non sorprende se i principali effetti saranno riscontrati sul lato occupazionale (che già oggi fa rilevare dati record).
Da questa situazione non se ne uscirà. Peggiorerà. È un cane che si morde la coda: tasse, consumi a picco, credit crunch, disoccupazione. L’unica via, per tentare di “prevenire” l’ondata che si intravede all’orizzonte, è ridiscutere la posizione del Paese nei confronti dell’Europa. Primo punto in agenda? Il Fiscal compact ovviamente.
Daniele Serio

Cos'è il DEF, Documento di Economia e Finanza

  Il DEF, o Documento di Economia e Finanza, è il principale strumento di programmazione economica e finanziaria dell'Italia. In esso il...