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lunedì 25 luglio 2016

Castelli Romani - ATTIVO IL VULCANO DEI COLLI ALBANI. A sostenerlo, uno studio firmato INGV, Sapienza Università di Roma, CNR e Università di Madison, pubblicato su Geophysical Research Letters

 Vale sempre la pena conoscere meglio i luoghi nei quali viviamo, la loro storia e anche la loro storia geologica,  che molto può raccontarci di ciò che accadrà.

Una foto dell'Etna ma fra mille anni o poco  più 
potrebbe essere un'immagine dei Colli Albani
L’area vulcanica dei Colli Albani, equivale grosso modo, al territorio dei Castelli Romani, i luoghi nei quali viviamo e nei quali stiamo costruendo il nostro futuro.  Ebbene quest’area vulcanica, alle porte di Roma, rimasta in assoluto stato di quiete da 36.000 anni a questa parte - nonostante miti e leggende le abbiano accreditato eruzioni fino in epoca romana - è attiva e, a diversi chilometri di profondità, si sta accumulando nuovo magma, facendo presagire un risveglio tra… migliaia di anni.
I “tempi geologici” sono davvero lunghi, nulla a che vedere con i “tempi storici” e ci permettono di dormire sogni tranquilli. Del resto c’è già qualcuno che si preoccupa per noi e tiene sotto controllo quest’area.

Ecco di seguito cosa dice il comunicato dell’INGV

(clicca l'immagine per ingrandire)
I Colli Albani, l'area vulcanica alle porte di Roma, inizia a dare segni di un futuro risveglio. A stabilirlo, uno studio multidisciplinare Assessing the volcanic hazard for Rome: 40Ar/39Ar and In-SAR constraints on the most recent eruptive activity and present-day uplift at Colli Albani Volcanic District, condotto da un team di ricercatori dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Geologiche - “Sapienza” Università di Roma, Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IGAG-CNR), e Laboratorio di Geocronologia dell'Università di Madison, che ha permesso di ricostruire la storia delle eruzioni avvenute da 600.000 anni fa a oggi nel distretto vulcanico dei Colli Albani, assieme a quella delle deformazioni della crosta terrestre che hanno accompagnato nel tempo la sua evoluzione.
Il risultato sorprendente”, afferma Fabrizio Marra, ricercatore dell’INGV, “è che non solo il vulcano è tutt'altro che estinto, ma ha appena iniziato un nuovo ciclo di alimentazione delle camere magmatiche che potrebbe portarlo nel prossimo millennio, da uno stato dormiente a quello di risveglio. Da qui la necessità di monitorare sin da oggi quest'area vulcanica”.

Gli elementi emersi dallo studio sono molteplici, legati a diversi indicatori geofisici, tutti convergenti nell'indicare che l'area vulcanica è attiva e che a diversi chilometri di profondità si sta accumulando nuovo magma.
“In quanto tempo questo magma potrebbe trovare una via di risalita e dar luogo a un'eruzione è difficile da stabilire con precisione, quello che è certo è che i tempi fisici per cui ciò possa avvenire sono alla scala delle diverse migliaia di anni. Tutt'altra storia rispetto al Vesuvio, dove le eruzioni sono avvenute in tempi storici e i tempi di ritorno dell'attività vulcanica sono dell'ordine delle decine e delle centinaia di anni: ai Colli Albani tutto procede con tempi delle migliaia e delle decine di migliaia di anni. A cominciare dai tempi di ritorno delle eruzioni”, prosegue Marra.
Lungo tutto il periodo di attività, indipendentemente dalla grandezza dei singoli aeventi, le eruzioni ai Colli Albani sono avvenute con cicli molto regolari di circa 40.000 anni, separati da periodi di pressoché assoluta quiescenza.
“A partire da 600mila anni fa”, spiega il ricercatore dell’INGV, “ci sono stati 11 di questi cicli eruttivi. L'ultimo, avvenuto al Cratere di Albano, è iniziato proprio 41.000 anni fa ed è terminato intorno a 36.000 anni. Questo vuol dire che il tempo trascorso dall'ultima eruzione è dello stesso ordine dei tempi di ritorno: quindi il vulcano deve considerarsi attivo e pronto per un nuovo futuro risveglio”.
I ricercatori hanno inoltre accertato che nel periodo di attività più recente, a partire da 100.000 anni fa, i tempi di ritorno si sono leggermente accorciati e sono stati dell'ordine di 30.000 anni. L'area in cui sono avvenute tutte le eruzioni più recenti è concentrata in un settore allungato in direzione nord-sud e comprende i crateri di Ariccia (200 mila anni), Nemi (150 mila anni), Valle Marciana (100 mila anni), Albano (due cicli a 69 mila e 41-36 mila anni), e il cono vulcanico di Monte Due Torri (40 mila anni).
“Tale settore corrisponde esattamente a un’area in cui le osservazioni di telemetria satellitare (InSar), fatte dai ricercatori INGV, hanno rivelato un continuo sollevamento, con tassi di 2-3 mm/anno, negli ultimi 20 anni. Questo lascia perciò ipotizzare che al di sotto dell'area dove sono avvenute le eruzioni più recenti si stia accumulando nuovo magma che provoca un rigonfiamento della superficie. La rivalutazione di studi di tomografia crostale condotti in passato suggerisce che questa zona di accumulo possa essere tra i 5 e i 10 km di profondità. Abbastanza profonda, quindi, da non destare preoccupazioni al momento”, continua Marra.
Infine, il terzo importante elemento è scaturito dagli studi che hanno investigato le cause dei lunghi periodi di inattività che hanno separato le diverse eruzioni.
“Anche qui si è capito che la causa di questo comportamento peculiare, diverso dagli altri distretti vulcanici attivi nello stesso periodo di tempo nell'Italia centrale (Vulsini, Vico, Monti Sabatini e Roccamonfina), stia nelle particolari condizioni geodinamiche dell'area di Roma, dove sono state attive forze crostali prevalentemente compressive, rispetto a quelle estensionali delle aree circostanti, che ha l'effetto di sigillare le fratture e le faglie che costituiscono le vie di risalita del magma durante le eruzioni. Così il magma rimane in profondità finché il progressivo accumulo non genera delle pressioni tali da superare le forze compressive crostali. A questo punto si esercita una spinta verticale che riapre le faglie e le fratture: il campo di stress diviene cioè estensionale come nelle regioni circostanti, e un nuovo ciclo eruttivo ha inizio”, aggiunge Marra.
Al momento attuale gli indicatori geofisici indicano l’esistenza di un campo di stress estensionale ai Colli Albani e nell'area romana, compatibile con un sollevamento in atto e favorevole alla eventuale risalita di magma.
Al tempo stesso “nessun elemento derivante dalle osservazioni geochimiche e geofisiche in atto lascia ipotizzare che un’eruzione possa avvenire né in tempi brevi né medi. Quindi, se una ricarica dei serbatoi magmatici è in atto, questa durerà senz'altro migliaia di anni prima che possa dar luogo a un'eruzione”, conclude Marra.

(il grassetto è di ECO16)
vedi il cs  INGV al link seguente

martedì 11 marzo 2014

Acqua all'arsenico: ci vuole un reale cambio di mentalità. Non si può agire solo nella fase emergenziale. Una questione che riguarda anche i Castelli Romani

Arsenico nell’acqua, Geologi del Lazio: “Ennesimo esempio di cattiva amministrazione”

Per il presidente dell’Ordine, Roberto Troncarelli, c’è una grave carenza “culturale” e di approccio alle problematiche ambientali: “È molto grave infatti che lo Stato, in tutte le sue ramificazioni, non abbia acceso un “warming” sulla salute della cittadinanza. La questione arsenico va risolta a monte e non agendo nella fase emergenziale”

“Purtroppo i valori di arsenico riscontrati a Roma Nord non ci sorprendono. Molti acquedotti della zona incriminata presentano anche problematiche legate alla presenza di radon. C’è poco da fare: siamo di fronte all’ennesimo esempio di cattiva amministrazione”. È duro il commento del presidente dell’Ordine dei Geologi del Lazio, Roberto Troncarelli, all’indomani dei disagi idrici che stanno colpendo migliaia di famiglie del XIV e XV Municipio: territori in cui è stata riscontrata acqua che, per le caratteristiche chimiche e batteriologiche, non risulta idonea al consumo umano. “Quanto accaduto a nord della Capitale - rimarca Troncarelli - è solo la punta dell’iceberg di una situazione critica, che denunciamo da anni. Quello dell’arsenico infatti è un problema con cui ci si confronta da decenni eppure gli amministratori pubblici hanno sempre mostrato la deprimente tendenza a sottovalutare le questioni ambientali. Tendenza che assume connotazioni pericolose quando, come in questo caso, investe aspetti afferenti la salute pubblica e la sicurezza dei cittadini”. Nella nostra regione molte aree presentano concentrazioni di arsenico superiori a 10 microgrammi/litro, valore massimo che devono avere le acque per poter essere destinate al consumo umano. Tali concentrazioni sono peculiari delle aree dei distretti vulcanici del Lazio centro-settentrionale, Sabatino, Vulsino, Vicano, Cimino e Colli Albani: “Questi valori – sottolineano i Geologi del Lazio - non sono in aumento rispetto al passato poiché non dipendono dalle attività umane ma dalla naturale “contaminazione” che subiscono le acque attraversando i terreni vulcanici. Ma sono valori che hanno classificato tali acque "fuorilegge", in quanto le soglie di accettabilità, definite da alcune direttive europee, attualmente attestato a 10 microgrammi/litro, sono abbondantemente superate dai valori delle acque prodotte da acquiferi vulcanici.  Eppure tutto questo agli amministratori non è mai interessato. Mentre le nazioni più virtuose si sono organizzate mettendo in campo programmi strutturali a lungo termine, investendo sulla qualità dell’acque attraverso impianti di trattamento e abbattimento di elementi nocivi, sulla questione arsenico l’Italia si è dimostrata miope: anziché puntare sulla prevenzione, su infrastrutture e su ricerca, si è pensato bene di chiedere deroghe alla Comunità Europea. Ma l'ultima è scaduta e non ci è stato più concesso di proseguire sulla strada dei rinvii e delle irresponsabilità. Veramente un pessimo esempio di gestione amministrativa. È molto grave infatti che lo Stato, in tutte le sue ramificazioni, non abbia acceso un “warming” sulla salute della cittadinanza”. Per Troncarelli, inoltre, sussiste una grave carenza “culturale” e di approccio alle problematiche ambientali: “I sindaci, i primi ad essere investiti da fenomeni igienico-sanitari locali, spesse volte lamentano casse comunali vuote salvo poi non farsi mancare risorse per la festa del santo patrono o i giochi pirotecnici di ferragosto o iniziative senza alcuna valore sociale. Così non va – sollecitano i Geologi del Lazio -: serve anche e soprattutto un cambio di mentalità. La questione arsenico va risolta a monte e non agendo nella fase emergenziale. Anche perché l’emergenza ha costi economici elevati e la soluzione tampone non ha certo gli stessi effetti benefici di una pianificazione infrastrutturale a carattere preventivo”. Eppure qualche modello positivo c’è: “Per un problema di emissione di anidride carbonica dal sottosuolo, tempo fa la Regione Lazio ha  approvato una delibera, che vieta ai comuni di Castel Gandolfo, Ciampino, Marino e a tre Municipi di Roma, a seconda della concentrazione di anidride carbonica, la realizzazione di piani interrati. Una iniziativa - spiega Troncarelli – secondo molti impopolare ma a mio giudizio lungimirante, poiché diretta preventivamente alla tutela della pubblica sicurezza”.

Cos'è il DEF, Documento di Economia e Finanza

  Il DEF, o Documento di Economia e Finanza, è il principale strumento di programmazione economica e finanziaria dell'Italia. In esso il...