"Questa è la storia di Virata che il suo popolo glorificò con i quattro nomi della virtù ma di cui non è scritto nelle cronache dei dominatori né nei libri dei saggi e la cui memoria gli uomini hanno dimenticato".
Ci troviamo di fronte ad una piacevolissima lettura, caratterizzata da una particolare sospensione fra Oriente e Occidente, fra mito e realtà, il tutto magistralmente espresso da questo grande scrittore attraverso un racconto breve ma intenso, una narrazione dal respiro ampio, in cui palpitano il divino e una natura incantata.
Protagonista indiscusso del racconto è il concetto di Giustizia e la difficoltà o l’impossibilità di trovare il modo di applicarla con equità, senza che alcuno venga a soffrire per le scelte fatte da altri; fino ad arrivare alla fine di questo percorso in cui il protagonista matura in se la consapevolezza che l’unico modo di vivere senza far soffrire nessuno è di servire un altro.
Il testo narra di una leggenda indiana avente per protagonista un nobile e antico guerriero di nome Virata, che nel corso di una cruenta battaglia, uccide involontariamente suo fratello (l’eterno fratello del titolo), il cui sguardo accusatore tornerà a tormentarlo negli occhi di qualsiasi vittima dell'ingiustizia del mondo. A seguito di questo evento egli giura di non impugnare mai più un’arma.
Nel decidere di rinunciare a qualsiasi sopraffazione e violenza, il guerriero nel corso del racconto man mano si astiene da tutti gli incarichi e le responsabilità che gli vengono affidati ufficialmente: rifiuta ogni guerra e spargimento di sangue, perché "chi partecipa al peccato di dare morte è lui stesso morto", rifugge dall'esprimere giudizi e dal condannare; sceglie la passività che possa garantirgli l'innocenza, assumendo su di sé la natura di "morto nella vita e vivo nella morte", consapevole che ogni potere incita all'azione, e ogni azione interferisce nel destino degli altri uomini.
Allora rinuncia anche al suo ruolo di saggio e va a fare il guardiano dei cani e in questo ruolo infine morirà solitario e dimenticato da tutti, ma probabilmente felice o almeno in pace con se stesso. L'estrema liberazione dall'imposizione di sé si può scoprire soltanto nell'umiltà delle mansioni più modeste e disprezzate, perché "solo chi serve è libero".
L’autore durante tutta la narrazione, sin nei dettagli più piccoli, è desideroso di condividere con il lettore la sua visione etica della vita, per cui ogni scelta ha conseguenze imprevedibili e pericolose, che ricadono necessariamente sull’individuo responsabile, il quale non si deve limitare ad accettare l’usuale andamento delle cose, ma deve operare sempre delle scelte consapevoli.
Solo dalla presa in carico della direzione della propria vita, nel bene e nel male, in ricchezza e, soprattutto, povertà, Virata – e da qui l’uomo nel più ampio senso di Umanità - ottiene quella che è oggi banalmente chiamata ‘illuminazione’.