di Francesca Senna
Robert Louis Stevenson visse gli
ultimi anni dal 1889 al 1894, anno della sua morte, nelle isole dei Mari del
Sud, soggiornando qualche mese nelle Hawaii, dove ebbe modo di incontrarsi con
l’opera umanitaria di Padre Damiano.
Il dottor Hyde (da non confondersi
con il personaggio immaginario nato dalla penna dello stesso Stevenson) reverendo
protestante delle Hawaii, aveva calunniato in un breve scritto la memoria del
santo missionario Padre Damiano, conosciuto appunto dallo stesso autore durante
una delle sue visite al lazzaretto degli isolani lebbrosi.
Hyde, infangando un'anima grande,
dava voce all'ipocrisia e superbia dei bianchi impegnati nella “civilizzazione”
delle popolazioni isolane, dove si era diffuso il credo che la recente piaga
della lebbra fosse l'effetto di una vita selvatica e dissoluta, pigra
nell'assimilarsi alla sana civiltà dell'uomo bianco.
La narrazione si svolge nel 1888,
nell'ultimo periodo della vita di Stevenson, quando l'autore, per guarire dalla
malattia che lo minava, decise di noleggiare un panfilo con cui viaggiare, il
più a lungo possibile, nei Mari del Sud. L'aria balsamica delle isole del
Pacifico si rivelò in effetti un toccasana: lo scrittore riuscì a vivere fino
1894, portando con sé la famiglia che gli rimase vicina per tutto il tempo.
Durante questo periodo visse alcuni mesi alle Hawaii, dove scrisse molti dei
suoi più bei racconti brevi, e volle andare a visitare l'isola lebbrosario di
Molokai. Lo fece a suo rischio e pericolo convinto di dover vedere
personalmente quel luogo di dolore, sinceramente colpito da quanti vi
lavoravano per assistere gli sfortunati che vi erano confinati. Conobbe qui,
assieme alle fantastiche meraviglie tipiche di questi posti esotici, il morbo
che accompagnerà la lenta e inesorabile sottomissione degli isolani.
Recandosi sul posto conobbe la
storia del missionario, Padre Damiano, che aveva lasciato il segno nei cuori di
tutti. Costui era riuscito, con metodi talvolta non ortodossi, a ottenere aiuti
per i suoi assistiti e a costruire ricoveri, a migliorarne le condizioni,
condividendone la vita e poi morendo anche lui contagiato. Tuttavia, le invidie
e le maldicenze, nate anche per il carattere poco accomodante che Padre Damiano
manifestava nei confronti delle autorità, avevano dato vita a una campagna di
discredito.
A Stevenson capitò di leggere un
articolo pieno di queste dicerie scritte dal dottor Charles McEwen Hyde,
direttore di una scuola di teologia che istruiva i giovani hawaiani al
ministero protestante. Era noto per i suoi sermoni severi e castigati nei quali
accusava senza mezzi termini la promiscuità propria degli indigeni: esattamente
il contrario dell'atteggiamento di Padre Damiano, con cui era entrato in
conflitto, al punto da indire una crociata epistolare contro di lui.
E' dunque contro Hyde che Stevenson
si scaglia nella sua lettera scritta in difesa di padre Damiano, argomentando
punto per punto e smontando tutte le accuse. L'efficacia narrativa e
descrittiva dello scrittore raggiunge in questa lettera il massimo splendore
permettendo di far risaltare la sua enorme sensibilità e la sua fresca
curiosità, attraverso uno stile fortemente caratterizzato dalla delicatezza dei
ritmi e dalla limpidezza delle frasi.
Se ne ricava l'impressione che
l'autore, piuttosto che trasmettere al lettore un qualche senso della seduzione
di quel mondo, si sia preoccupato di dare piuttosto una mano per arginare il
disfacimento di questa cultura. Robert Louis Stevenson, uomo benevolo come
pochi, per tale motivo spesso era accusato di mostrare nelle sue opere il male
trionfante: in realtà, ciò che maggiormente lo interessava all’interno delle
sue opere era dar voce a qualcosa di più profondo del bene e del male, qualcosa
come l'innocenza: era questo il suo modo di consegnare ogni cosa al suo valore
vero. Da qui il suo appartenere a quello che fu poi definito un verismo sui
generis all’interno della letteratura di epoca vittoriana.