di
Francesca Senna
Il racconto scritto nel
1929, si compone appena di cinquantatré pagine, una breve novella, dove la penna di Zweig è come sempre rigogliosa,
abbondante di aggettivi, che abbracciano stati d'animo e riflessioni; il
linguaggio è sempre elegante e desidera mantenere decoro e compostezza in ogni
situazione narrata, anche sulle tematiche più calde e dolorose. I suoi racconti
sono così semplici da risultare difficili da riassumere e recensire, lasciano
un senso di spossatezza, di angoscia, di inutilità.
Il racconto contiene un profondo messaggio d’amore per le
lettere, viste come strumento necessario per innalzarsi ad un livello più alto
dell’esistenza. Per questo ci offre il
ritratto di questo personaggio a metà tra genialità, magia e surreale: Mendel
dei libri.
Siamo a Vienna, seconda
metà degli anni venti. Il personaggio narratore si rifugia in un caffè di
questa città per ripararsi da un acquazzone; nonostante l'arredamento rinnovato
del locale riconosce il vecchio «Caffè Gluck» e gli torna alla mente Jakob
Mendel, un povero venditore di libri usati, conosciuto circa vent’anni prima,
che soggiornava in quel caffè e possedeva delle straordinarie facoltà mnemoniche.
Un piccolo uomo che se ne
stava seduto a un tavolino di marmo, fermo e impassibile, con lo sguardo
ipnoticamente incollato a un libro, dondolandosi avanti e indietro e
cantilenando, come alla scuola ebraica gli avevano insegnato.
La sua memoria è straordinaria, conosce ogni
libro che sia stato pubblicato, consiglia titoli per ogni argomento gli venga
proposto e riesce a procurarsi anche testi apparentemente introvabili. La sua
conoscenza prodigiosa e leggendaria si accompagna ad una vita modesta, fatta di
piccole abitudini. Non trasforma però la sua passione in fonte di guadagno, non
ne trae compensi, se non l’ingenua soddisfazione si riuscire a dare risposte
dopo che esimi bibliotecari hanno alzato le braccia: «di qualsiasi opera, di
quella apparsa ieri come di quella risalente a due secoli fa, al primo colpo
sapeva esattamente il luogo di pubblicazione, l'autore, il prezzo (nuovo e
usato) di ogni libro (...) e anche questi libri poi, lui non li leggeva (...):
solo il titolo, il prezzo, la veste editoriale, il frontespizio muovevano la
sua passione».
Apprezzato da studiosi e
bibliofili e rispettato dal personale del «Caffè Gluck», a cominciare dal signor
Standhartner il proprietario, sempre assorto nei suoi libri, Mendel ignorava le
vicende che si svolgevano attorno a lui.
Il narratore vent’anni
dopo non trova però traccia di Mendel nel «Caffè Gluck», che peraltro ha
cambiato gestione. Solo la signora Sporschil, la custode della toilette, gli
racconta la fine di Mendel.
Mendel era rimasto assorto
nel suo lavoro anche dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, un evento di
cui probabilmente non si era reso conto, “Perché lui leggeva come altri pregano, come i
giocatori giocano e gli ubriachi, intontiti, fissano il vuoto: leggeva in modo
talmente assorto, con un tale rapimento, che da allora il resto del mondo mi è
sempre parso profano.”
Alla fine di una serie di
strane e apparentemente assurde vicissitudini Mendel viene intercettato dai
militari austriaci che lo fermano, in quanto scoprono che è un ebreo polacco
senza cittadinanza. Viene quindi internato a Komorn. Solo dopo alcuni anni può
ritornare a Vienna grazie
all'intercessione di alcuni suoi clienti importanti; ma i patimenti subiti nel
periodo di internamento gli avevano fatto perdere la sua prodigiosa memoria e la
sua capacità di discernimento.
Di nuovo, come in altri
scritti di Zweig, anche in questo libro viene data particolare importanza alla
mente del protagonista per via della sua incredibile capacità di immagazzinare
qualsiasi informazione relativa a saggi, trattati, romanzi, insomma, ogni cosa
che avesse un formato cartaceo.
Nella brevissima
presentazione che accompagna il racconto si sottolinea la dichiarazione d’amore
e di appartenenza alla letteratura fatta dall’autore, con questo personaggio
che, con la sua memoria, sembra voler mettere in salvo i libri dall’umana
follia che di lì a pochi anni avrebbe sconvolto il mondo, tanto che nella
figura di Mendel, padre, fratello e amico dei libri, sembra racchiusa quella
che verrà imputata a Zweig come una premonizione degli orrori del Novecento.
Un amore per la conoscenza libero da ambizioni; un
racconto sull’estasi della lettura, quel processo che porta al piacere assoluto
dell'estraniazione, a prescindere dal contenuto dell'oggetto d'interesse. Una
concentrazione assoluta, al punto da non accorgersi di quanto accade intorno a
sé, al punto da non accorgersi che la guerra sta trasformando il mondo
rendendolo un posto dove non c’è più spazio per i sogni senza lucro, non c’è
più devozione per la saggezza, non c’è più rispetto per gli antichi valori.
Una storia delicata e malinconica; e un invito ad
essere, come Mendel, custodi della cultura e della memoria.