di Francesca Senna
Il libro
si basa sul mito del Minotauro che viene mostrato nella sua totale incoscienza
e nella sua animalità.
La
focalizzazione interna del racconto e della voce narrante favorisce l'effetto
di straniamento. Il Minotauro è infatti tradizionalmente l’antagonista muto del
mito.
Il
mito descrive il Minotauro come un essere irrazionale, e proprio per questo
Dante lo colloca a guardia del girone dei violenti (dodicesimo canto dell'Inferno nella Divina Commedia), di chi
ha seguito il proprio istinto a discapito della ragione.
Che
questa sia la natura del Minotauro è cosa ovvia, dal momento che si tratta di
una creatura col corpo d'uomo e la testa d'animale.
Ne Il Minotauro, Friedrich
Dürrenmatt pone l'accento su un altro aspetto: l'assenza di raziocinio
impedisce all'essere di comprendere a fondo quanto lo circonda, ma l'istinto
gli suggerisce la sua natura di creatura assolutamente unica nel suo genere.
Ecco che egli si trasforma in una vittima, isolato poiché diverso, prigioniero
del labirinto.
Il
labirinto stesso è una punizione, ma una punizione per cosa? A pagare
dovrebbero essere coloro che hanno generato il Minotauro, da Pasifae a Minosse,
che con la sua disobbedienza a Poseidone ha contribuito ad avviare la
concatenazione di eventi che hanno spinto alla mostruosa unione della moglie
col toro. Mentre è il Minotauro, l'"innocente colpevole", che viene
condannato da un tribunale di colpevoli a espiare una colpa che è addirittura
antecedente la sua nascita, infelice poiché "sempre al limite della
conoscenza", dal momento che non può capire a fondo i suoi sentimenti e
ciò che lo circonda.
L’autore
presenta quindi la commovente vicenda di un essere costretto a non essere. Rinchiuso
nel labirinto tra infiniti specchi e infinite illusioni di sé. L'unico rapporto
che troverà con gli umani sarà solo d'inganno e morte. La condizione del Minotauro,
ibrido per natura e sospeso solo in un non-luogo per costrizione, serve a fare
luce sulla instabilità del concetto di verità e di giustizia ma soprattutto
sulla tragicità della esperienza esistenziale umana.
Il mito
viene decostruito e smontato, ricostruito e svuotato per arrivare ad un esame
della condizione esistenziale e della sua drammaticità. Dürrenmatt cerca di comunicare
il vuoto di ideali, la totale interpretabilità e la sola certezza della
solitudine dell'uomo in attesa della verità. La ferrata alternanza tra sequenze
narrative e sequenze di monologo, costruiscono una sorta di dialogo interiore;
lo spazio mitico del labirinto viene accentuato nel suo carattere di
isolamento, riflessività e utopia dalla presenza di specchi.
Il
labirinto è senza dubbio una delle figure preferite dallo scrittore svizzero,
la perfetta metafora della vita, ricca di percorsi da seguire, senza sapere se
troveremo mai quello che stiamo cercando e senza la possibilità, il più delle
volte, di tornare indietro. Il labirinto è costituito da specchi, nei quali il Minotauro
si riflette, senza capire che quella è la sua stessa immagine: crede esistano
degli altri come lui e, per un momento, si sente meno solo; ma l'immagine è
pura illusione.
E' un racconto dai toni forti in cui la violenza, la
morte, il sangue, il dolore fanno parte del mondo. Un racconto in cui
l'innocenza che sta prima del bene e del male, non cancella la ferocia, la
violenza e la tragedia che seguono.
Non è un racconto consolatorio, né edificante. Tragico
piuttosto.