Pubblico di seguito l'appello al No dei Giuristi Democratici perché lo condivido nel contenuto e ne apprezzo la chiarezza.
La Costituzione è destinata a regolare i rapporti di
civile convivenza tra i cittadini e per tale ragione è destinata a durare nel
tempo.
La Costituzione contiene norme di carattere
generale, cioè riferentisi ad ogni tipo di cittadini, di carattere astratto,
cioè a prescindere dalle singole situazioni.
La Costituzione deve essere comprensibile per tutti
i cittadini e pertanto deve essere scritta in maniera chiara e sintetica.
La Costituzione italiana è costituzione rigida
quanto ai suoi principi, ma non immutabile; può essere modificata nel tempo, ma
sempre al fine di realizzare e rispettare i principi fondamentali stabiliti
nella prima parte della Costituzione stessa.
La Costituzione può essere modificata nei modi e nei
termini previsti dall’art. 138 e le modifiche devono ricercare la più ampia
convergenza di opinioni tra le forze politiche.
La Costituzione non si modifica a colpi di
maggioranza. La riforma della Costituzione dovrebbe fiorire da un dibattito
collettivo, ad impulso esclusivo del Parlamento, senza intromissione alcuna del
Governo.
Queste sono le caratteristiche di una Costituzione e
questi sono i criteri per modificarla.
Ed invece
La nuova formulazione della Costituzione è stata
approvata alla Camera dalla sola maggioranza, con 360 voti su 630 deputati: alla
Costituente il testo fu approvato da 458 parlamentari con soli 62 voti
contrari.
Il linguaggio usato è prolisso, controverso, ai
limiti della incomprensibilità.
Non è vero che sia stato soppresso il bicameralismo
perfetto; semplicemente, esso è stato trasformato in un bicameralismo confuso,
perché la permanenza del Senato e i nuovi percorsi di formazione delle leggi,
nonostante le minori competenze dello stesso Senato, renderanno confuso e
ugualmente complesso il percorso di approvazione di una legge, con il rischio
di una moltiplicazione dei ricorsi alla Corte Costituzionale per conflitti tra
le due Camere.
Non è vero che il bicameralismo perfetto abbia
prodotto tempi di approvazione delle leggi superiori alla media dei paesi
democratici europei, così come non è vero che sia così diffuso il fenomeno
della cosiddetta “navetta” delle leggi tra le due Camere, fenomeno che, in
realtà, risulta limitato al 3% delle leggi varate.
La scelta di non far eleggere i senatori dai
cittadini incrina il concetto di rappresentatività dei cittadini stessi,
sostituendolo con una nomina di natura politica, che nasce all’interno dei
gruppi dei Consigli regionali.
La nuova norma costituzionale rischia di escludere
la rappresentanza delle Regioni a Statuto Speciale che prevedono l’incompatibilità
tra il ruolo di consigliere regionale e quello di senatore, obbligando,
pertanto, l’eletto in Senato a rassegnare le sue dimissioni dal Consiglio
Regionale e restando, così, privo di qualsiasi compenso per la sua attività.
Non è vero che le modifiche alla seconda parte della
Costituzione, relativa all’organizzazione della Repubblica, non abbiano
incidenza sulla prima parte, che stabilisce i principi fondanti dello Stato e
della convivenza civile.
La nuova Costituzione introduce una progressiva
sopravalutazione del potere esecutivo nei confronti di quello legislativo,
istituendo una sorta di democrazia esecutiva.
La nuova Costituzione istituisce un
ridimensionamento del ruolo della Camera anche in tema di ordine dei lavori,
consentendo al Governo di imporre alla Camera di esaminare le leggi ritenute
essenziali per il programma governativo entro 70 giorni: è un’umiliazione del
ruolo del Parlamento mai visto dall’epoca fascista.
Non è vero che non esista uno stretto rapporto tra
riforma costituzionale e legge elettorale: l’Italicum garantisce al partito
vincitore delle elezioni al ballottaggio, magari anche solo con una percentuale
del 25%, l’attribuzione del 55% dei seggi della Camera con la riduzione delle
opposizioni ad un ruolo di mera, impotente tribuna: si pensi solo alla
dichiarazione dello stato di guerra, deliberato dalla maggioranza,
precostituita ed immodificabile, della sola Camera. Stante, dunque, la
rilevanza della legge elettorale ai fini della valutazione dell’impatto della
riforma costituzionale sugli assetti istituzionali, sarebbe stato assai utile
che la Corte Costituzionale si pronunciasse sulla legittimità o meno di quella
legge; incomprensibile appare il rinvio a data da destinarsi di quel giudizio.
La volontà della maggioranza di ridurre il ruolo
delle opposizioni è emblematicamente rappresentato dall’introduzione all’art.
64 di uno Statuto delle Opposizioni, il cui regolamento sarà deciso dalla
maggioranza, in salda mano del partito vincitore delle elezioni, della Camera.
Il quesito referendario appare formulato in maniera
manipolatoria e tale, dunque, dall’invitare i cittadini all’approvazione della
legge; in particolare, il riferimento alla riduzione dei costi della politica
non rientra direttamente tra le modifiche costituzionali, ma ne potrebbe essere
esclusivamente una indiretta conseguenza.
Queste sono solo alcune delle criticità della
riforma costituzionale; in alcuni casi si tratta di questioni molto tecniche
sulle quali, ovviamente, il cittadino medio non è in grado di esprimere
un’opinione fondata su un’effettiva conoscenza del problema; fondamentale,
comunque, è cercare di fare un’operazione quanto più completa possibile di
informazione, ma ciò che soprattutto deve essere chiaro è che i cittadini
devono essere ben consci dell’importanza della loro scelta ed ergersi a
difensori di quel ruolo di unione del popolo italiano che la Carta Costituzionale
ha pienamente rappresentato in questi 70 anni.
OCCORRE, DUNQUE, VOTARE NO NEL REFERENDUM DEL 4
DICEMBRE.
Come giuristi, da sempre impegnati nella difesa dei
diritti dei cittadini, in particolare di quelli meno tutelati, sentiamo il
dovere di dare il nostro contributo di informazione ai cittadini, nella
convinzione profonda che in gioco non ci sia né un maggior efficientismo dello
Stato, né la battaglia politica tra centrosinistra renziano e centrodestra, ma
l’assetto istituzionale della nostra Repubblica e, dunque, in definitiva, il
rispetto di quella corretta ripartizione dei poteri dello Stato che hanno
consentito lo svolgimento di una civile convivenza, pur tra posizioni politiche
ed ideologiche divergenti.
Torino-Padova-Bologna-Roma-Napoli, 24 novembre 2016
ASSOCIAZIONE
NAZIONALE GIURISTI DEMOCRATICI