Villa
Doria non è soltanto il bel luogo di svago (a dire il vero oggi un po’ trascurato),
dove andare a sedersi con il proprio amore su una panchina o portare a spasso il
cane, e non è soltanto lo sfondo ideale
per tante foto di novelli sposi, almeno fino a quando era ricca di fiori e
colori. Villa Doria è anche uno dei luoghi dei Castelli Romani e di Albano in
particolare più ricchi di storia. E proprio tra quegli alberi maestosi e quelle
siepi si consumò un episodio fra più i importanti e sanguinosi della storia della
Seconda Guerra mondiale sul nostro territorio.
Un'antica cartolina di Villa Doria |
Sono
trascorsi esattamente 73 anni e due giorni da quella che vene ricordata come la
Battaglia di Villa Doria.
Per
non dimenticare e per coloro che oggi passeggiano su quei viali inconsapevoli
di ciò che vi accadde, ecco brevemente il racconto, sicuramente incompleto e
lacunoso, di quelle drammatiche ore.
Il Corriere della Sera del 9 settembre 1943 |
L’8
settembre venne proclamata dal Generale Pietro Badoglio, tramite i microfoni
della radio, l’EIAR, l’entrata in vigore dell’armistizio, che era stato firmato
cinque giorni prima, il 3 settembre a Cassabile, con gli anglo-americani. Nelle immediate ore successive, gran parte dei
soldati in servizio nell’esercito italiano, in quei momenti di confusione e
incertezza, abbandonò le armi e la divisa per fare ritorno a casa, altri entrarono
nella resistenza armata.
La
reazione tedesca all’armistizio fu immediata e prevedeva, tramite l’operazione
Achse, che vuol dire “Asse”, l’occupazione armata del Paese.
In
quei giorni un distaccamento della Divisione Piacenza dell’esercito italiano
era accampato dentro Villa Doria e, a Palazzo Doria dov’era la Casa del Fascio,
si era insediato anche il comando dei tedeschi.
Prorpio
l’8 settembre era tornato nella sua Albano il militante Severino Spaccatrosi (che
era reduce da anni di confino), dove ritrovò altri compagni di Albano che, racconta
nelle sue memorie, volevano chiedere armi ai soldati della Piacenza per
iniziare la resistenza contro i Tedeschi. Ma la mattina seguente Spaccatrosi fu
svegliato dagli spari e dalle esplosioni.
Ma
torniamo alla sera dell’8. Appreso dell’Armistizio, il comandante
della divisione Piacenza, il colonnello Tundo, ordinò ai suoi soldati di
bloccare il passaggio di qualsiasi colonna militare o anche di singoli soldati,
di qualunque provenienza fossero e rispondere con la forza, se necessario, al
tentativo di forzare tale blocco.
Piazza Mazzini verso la fine degli anni '40 |
Ormai
a sera tarda i tedeschi si presentarono con l’intenzione di prendere il
controllo della zona. Gli italiani si rifiutarono e poco più tardi, intorno
alle tre della notte, fermarono due sottoufficiali tedeschi. Alle sei del
mattino Villa Doria fu attaccata dalla divisione di paracadutisti
"Fliegerkorp" guidata dal maggiore Harald-Otto Mors. Gli scontri
durarono fino alle otto, terminando con la resa degli italiani che pagarono un
importante tributo di sangue con 27 morti e oltre 30 feriti gravi. I soldati
sopravvissuti furono fatti prigionieri dai tedeschi per poi essere rimessi in
libertà il 20 settembre e con essi anche il comandante della divisione, il
colonnello Tundo.
Piazza Mazzini primi anni '50 |
Di
seguito riporto la testimonianza di un cittadino di Albano, Angelo Chiarini,
tratta dal sito Comunisti
Castelli Romani che all’epoca dei fatti aveva 16 anni ed abitava a via
Olivella, proprio di fianco la Villa dove avvenne l’attacco dei nazisti ai
soldati della divisione Piacenza.
“…in seguito alla venuta ad Albano della
compagnia di soldati della Divisione Piacenza i tedeschi pensarono bene anche
loro di portare un comando loro che si installò nella “Casa del Fascio –
Palazzo Doria” di Albano. Intanto noi abitanti di Via Olivella e case popolari
fummo obbligati a disertare la “Macchietta di Villa Doria” che, per noi della
zona, era il parco giochi. Essendo diventata zona militare, e avendo a pochi
metri i soldati ci sembrava di vivere con loro: il mattino la sveglia, poi il
rancio, la sera il silenzio. Ma una sera, improvvisamente, sentimmo il
trombettiere emettere un suono differente dal solito, sentimmo un gran
movimento dentro la Villa, si disse che era l’allarme, un po’ incuriositi e un
po’ impauriti tornammo alle nostre case. Chiesi al mio papà cosa significasse
quel suono di tromba, mi disse che era l’allarme per i soldati, poteva essere
qualcosa di brutto.
Era il 9 settembre 1943, poi mi spiegò
che, in caso di allarme, i militari si dovevano preparare in assetto di guerra,
pronti per qualsiasi evento. Il mattino seguente, 9 settembre, era appena
giorno, fummo svegliati da raffiche di mitraglia e colpi di mortaio. Allarmati,
io e i miei fratelli, zompammo da letto impauriti; dalla finestra vedemmo dei
soldati che sparavano verso Villa Doria da dietro gli alberi con una mitraglia
e due fucili mitragliatori. Poi smisero di sparare per mancanza di munizioni,
ci avvicinammo; nel frattempo uscirono anche i vicini di casa che si erano
rifugiati in una vecchia cisterna. Intanto non si sentivano più spari;
chiedemmo ai soldati cos’era accaduto. Ci raccontarono che durante la notte
erano stati aggrediti dai tedeschi. Presi di sorpresa avevano avuto la peggio
perché c’era stato un armistizio tra truppe italiane e quelle inglesi, così i
nemici li avevamo in casa, perciò consigliammo i militari di squagliarsela per
le campagne. Le donne rimediarono loro qualche indumento borghese e si
dileguarono. Io e il mio amico Sergio ci prendemmo l’incarico di far sparire le
armi: la mitraglia fu resa inservibile e gettata in un frattone e i fucili li
nascondemmo in un luogo sicuro. Intanto rientrò mio papà: si alzava presto per
andare a lavorare, ci raccontò che si era trovato nei due fuochi e fu costretto
a rifugiarsi dietro le case popolari. Sentì una granata scoppiare poco distante
da lui, un boato e delle grida di aiuto. C’erano tre soldati, due sanguinavano
leggermente, ma il terzo era ferito seriamente. Mio papà cercò aiuto, lo trovò
in un contadino che andava al mercato con carrello e cavallo.
Rimediata una coperta lo adagiarono sul
carro e lo portarono all’ospedale di Albano. Il malcapitato si chiamava
Giuseppe Malacaria, siciliano. A guerra finita tornò a conoscere mio papà e
ringraziarlo per avergli salvato la vita.
Lo scontro di Villa Doria era costato la
vita di alcuni nostri soldati; alla fine della guerra fu deposta una lapide in
loro onore e noi, ogni anno, li ricordiamo con una corona d’alloro.
Intanto, con l’armistizio, il nostro esercito
si sciolse; una parte si diede alla macchia e, da lì, iniziò la lotta
partigiana contro il nazifascismo…”
Questa che segue è la
testimonianza di Severino Spaccatrosi che potete leggere per intero a questo sito:
Severino Spaccatrosi |
“La mattina del 9 settembre, erano appena le cinque,
venni svegliato da colpi di cannone; nella stessa via dove abitavo sentii
crepitare vicinissimi vari colpi di arma da fuoco. Dovetti compiere un gesto
quasi brutale nei confronti di mia madre che voleva impedire a tutti i costi di
uscire. Corsi a casa di Angelo Monti che era vicinissima alla mia, anche qui si
ripetè la stessa scena che si era svolta pochi minuti prima a casa mia. Ci
rendemmo subito conto che i Tedeschi stavano realizzando un piano
meticolosamente preparato da tempo. Gli ufficiali del comando della divisione
<Piacenza> , quegli stessi che avevano risposto ai nostri compagni di non
darsi pena perchè sapevano loro cosa avrebbero dovuto fare in caso di un
attacco tedesco, si lasciarono sorprendere in un albergo, qualcuno di essi riuscì
a svignarsela mezzo nudo fuggendo attraverso i tetti, gli altri furono
arrestati dai tedeschi. Una caserma sita in fondo alla stessa via dove abitava,
in via del Collegio Nazareno, adibita al scuola dei pompieri, corpo
militarizzato, fu presa d'assalto e in men che non si dica, sbaragliata da
pochissimi tedeschi armatissimi. Una compagnia della divisione <Piacenza>
non si lasciò sorprendere e nella Villa Comunale rispose al fuoco dei tedeschi…”
(le belle foto antiche di Villa Doria, Palazzo Doria e Piazza Mazzini sono prese della meravigliosa pagina Facebook Albano Sparita, che ringrazio)
Fabio Ascani