di Francesca Senna
Sciascia, come definito nel
titolo inventa “una storia semplice” ma che invece risulta essere complessa
nella trama e nel messaggio che vuole denunciare (i numerosi problemi legati
alla criminalità che persistono in Sicilia). Il romanzo (o racconto lungo) fa
pensare agli innumerevoli casi insabbiati, ai contatti della criminalità con le
amministrazioni e, nel personaggio del brigadiere, alla voglia di alcune
persone di far cambiare le cose ma i cui ideali finiscono per essere
schiacciati dalla negligenza delle istituzioni.
Sciascia, in una intervista,
rivela che lo spunto compositivo risale ad un episodio capitato anni prima sulla
strada di Agrigento, quando la sua vettura venne fermata dai viaggiatori di un
treno bloccato al semaforo, secondo i quali il capostazione poteva essersi
addormentato, dimenticandosi di dare il segnale di via libera.
Giorgio Roccella, un diplomatico
in pensione, ritorna in Sicilia, nel paese d’origine, perché desidera
recuperare due pacchetti di lettere, uno indirizzato da Garibaldi al bisnonno e
l’altro da Pirandello al nonno. Comunica queste sue intenzioni al vecchio amico
professor Carmelo Franzò, con il quale pranza, prima di farsi portare da un
taxi nel proprio villino di campagna. Appena giunto nella vecchia dimora,
Roccella telefona all’amico, meravigliato per due fatti insoliti:
l’installazione, mai richiesta, di un telefono e il ritrovamento di un famoso
quadro scomparso da diverso tempo.
Roccella informa anche la
polizia, in quanto ha scoperto nella sua abitazione qualcosa di cui non indica
la natura. Alla stazione di polizia, il commissario non vuole prendere sul
serio la faccenda; suppone si tratti di uno scherzo e non ritiene necessario
predisporre un intervento urgente. Lasciando l’ufficio, invita il brigadiere
Antonio Lagandara a dare un’occhiata il giorno seguente. Quando all’indomani
Lagandara si reca alla masseria, trova il cadavere di un uomo, che comprende
subito essere quello di Roccella, ucciso da una vecchia pistola, ora
abbandonata sul tavolo. Accanto su di un foglio è scritta la frase: “Ho
trovato”, seguita da un punto. Il brigadiere capisce subito che si tratta di un
omicidio che si vuol far passare per suicidio. Polizia e Carabinieri
intralciano le indagini per la loro consueta rivalità e questore e magistrato
non capiscono nulla di quanto è accaduto. Non convinto dell’interpretazione che
si vuole fornire agli eventi, il brigadiere Lagandara scopre con sgomento che….
Emblematica è la frase di
Dürrenmatt, posta come epigrafe al testo: Ancora una volta voglio scandagliare
scrupolosamente le possibilità che forse ancora restano alla giustizia. Per il
momento in cui il romanzo fu scritto (1989, l’anno della morte di Sciascia),
queste parole hanno il sapore di un testamento spirituale.