“Stime
riviste al ribasso”. È questa la formula che più delle altre pare
caratterizzare gli ultimi mesi.
È sempre più
frequente infatti leggere di anticipazioni tradotte in numeri che,
puntualmente, qualche settimana dopo vengono smentiti dalla triste realtà che
continua a contraddistinguere il nostro Paese.
Il caso più
eclatante riguarda direttamente il Prodotto
Interno Lordo, per l’ennesima volta clamorosamente
sovrastimato da praticamente tutti gli uffici studi che si erano
avventurati in quello che, ormai, sembra esser diventato compito alquanto
ardito: prevedere.
Assai di
recente difatti si è vista costretta a correggersi Bankitalia, tagliando le stime del Pil per il 2014 da +0,7% a +0,2%, accompagnata dal centro studi di Confindustria. In linea con Palazzo Koch anche
il Fondo Monetario Internazionale,
che attesta le proprie aspettative su un non più rincuorante +0,3% (rispetto al precedente +0,6%).
Unico a
mantenere la propria posizione originaria (per il momento) è il Governo, fedele
al +0,8% messo nero su bianco nel Def dello scorso aprile che, tuttavia,
già incorporava una revisione al ribasso della previsione contenuta nel pregresso
Documento Programmatico di Bilancio di ottobre (+1,1%). “Per il momento” appunto, specialmente
stando alle ultime dichiarazioni del Premier che
lasciano intendere un nuovo, repentino dietro front.
Statistiche
alla mano ed osservando il trend delle correzioni “negative” apportate di volta
in volta, il presentimento che alla fine
del 2014 i dati reali possano certificare l’imbarazzante crescita “zero”
non è poi così azzardato e, a sostegno di un pronostico tanto allarmante,
interviene lo “storico” di questi ultimi anni, troppo spesso contrassegnati da
promesse rivelatesi alla fine l’ombra di se stesse.
Alcuni esempi? Si parlava di ripresa già nel 2009,
quando Confindustria ammetteva sì il periodo di recessione, ma preannunciava un’immediata inversione di tendenza che,
puntualmente, non si è verificata.
Non da meno il Governo Berlusconi, che ad un solo anno
di distanza assicurava l’uscita dal tunnel puntando sul
ritrovato ottimismo degli italiani, fatto salvo il ritrovarsi di lì a dodici mesi a dover
scommettere nuovamente su una fantomatica rinascita in occasione dell’anno
successivo.
Sarà poi la
volta di Draghi, convinto nel
preconizzare una “ripresa graduale” per il 2012, cui farà seguito il
Premier Monti, costretto dai risultati
a spostare l’asticella un anno in avanti (2013).
In tempi non
sospetti è stato invece Enrico Letta
ad aggregarsi ai suoi predecessori, parlando nientemeno di “tempesta finita” in vista del 2014.
Niente di tutto ciò si è verificato. Anzi. Non solo l’auspicata crescita non ha avuto luogo, ma
addirittura tra un annuncio e l’altro si è registrato un lento ma inesorabile
peggioramento della situazione immediatamente precedente. Sintetizzando:
l’Italia, dal periodo pre-crisi ad oggi, ha
perso ben oltre sette punti di Pil.
In virtù di
tale tendenza, in virtù di stime che vengono continuamente corrette al ribasso,
in virtù dell’allarme lanciato da Bankitalia che intravede
la necessità di reperire almeno 14
miliardi per il 2015 soltanto per mantenere la promessa di rendere
strutturale il bonus di 80 euro e per conseguire il saldo programmato nel 2015
(al netto dunque di quanto sarà necessario accantonare per rientrare nel
vincolo del Fiscal Compact), cosa c’è da aspettarsi
dall’ennesima profezia (“Le statistiche inizieranno a
migliorare dal 2015”) stavolta targata Matteo Renzi?
Daniele Serio