Ferdinando Bonessio |
di
Ferdinando Bonessio
Può
una crisi economica comportare una scelta di governo così oscena ed
antidemocratica come quella di mettere in vendita per l’ennesima
volta un bene comune, patrimonio di tutti?
No,
nulla può giustificare la proposta di sdemanializzazione delle
spiagge presentata con un emendamento del PDL alla legge di stabilità
attualmente in discussione al Parlamento.
E’
qualcosa di semplicemente schifoso, che va fermato perché sancirebbe
la completa privatizzazione di una delle caratteristiche “bellezze
paesaggistiche” del nostro Paese con la conseguente ulteriore
cementificazione delle nostre coste.
Invece
di vedere aumentare la tutela di questo patrimonio, come conseguenza
di un’eventuale approvazione della proposta i cittadini italiani e
le future generazioni verrebbero espropriati di un bene che
appartiene a loro ovvero alla collettività.
Di
fatto si tratta di un’operazione di tutela di interessi per una
lobby che è sempre stata molto forte ed è stata sempre spalleggiata
da una politica pronta a mantenere promesse ed a ricambiare favori
elettorali.
In
Italia, dal dopoguerra ad oggi, sono state rilasciate dallo Stato
italiano, prima dalle capitanerie di porto e poi dalle regioni,
30mila concessioni sul demanio marittimo legate a 15mila stabilimenti
balneari che insistono su 600 comuni costieri.
Il
tutto è avvenuto sempre senza alcuna gara di evidenza pubblica: le
concessioni, prima nominali, si sono trasferite nel corso degli anni
da padre in figlio, successivamente sono state vendute attraverso la
creazione di società di gestione di servizi: un vero e proprio
“diritto ereditario” mai volutamente corretto o regolamentato
dalle istituzioni pubbliche.
La
“sdemanializzazione” sarebbe anche un espediente per aggirare
quanto da tempo ci chiede l’Unione Europea: l’Italia si adegui
alla direttiva Bolkestain, assegnando in concessione gli arenili
demaniali in base ad aste pubbliche e a criteri trasparenti.
E
mentre si perpetrano questi trattamenti di favore le spiagge italiane
sono diventate le più cementificate d'Europa, gli accessi al mare
sono spesso consentiti, violando la legge, solo attraverso il
pagamento di un pedaggio.
I
lungomari si sono stati trasformati in un lungomuri di cemento
che impediscono l'accesso e la vista mare nonché la possibilità di
godere liberamente del bene-paesaggio.
Questa
situazione riguarda circa 4.000 km di spiaggia degli 8.000 che
costituiscono le coste italiane.
Se
si considera che quasi 3.000 km di costa sono rocciose o occupate da
servizi portuali, immediatamente si comprende che in proporzione le
“spiagge libere” sono una percentuale irrisoria ed assolutamente
sproporzionata a tutto danno di chi vorrebbe godere liberamente del
diritto alla balneazione.
Le
concessioni complessivamente riguardano un’enorme estensione di
territorio e di fatto, soprattutto a causa della mancata vigilanza
degli organi proposti al controllo, sono oggetto di un progressivo
processo di privatizzazione: come detto, spesso la legge che
garantisce il libero accesso al mare, fatta approvare con fatica dai
Verdi e dagli Ecologisti alla fine degli anni ‘90, viene del tutto
ignorata.
Per
non parlare della cementificazione selvaggia che, a causa
dell’assenza di qualsiasi minimo controllo, ha sempre seguito le
concessioni.
Come
abbiamo detto, in Italia si contano circa 30.000 concessioni che,
partendo dall’estensione media di una concessione valutata in circa
3.000 metri quadri, sviluppano complessivamente 90 milioni di m2 pari
a 9.000 ettari.
La
media di superficie occupata/cementificata è in media del 20%
dell’estensione delle concessioni, ossia tra stabilimenti, servizi,
cabine, piscine, palestre, ristoranti, bar, locali notturni, negozi,
alloggi personale, centri benessere, equivalgono ad una “colata di
cemento” di circa 18.000.000 (diciottomilioni) di m2 direttamente
“fronte mare”.
Una
cifra che non è paragonabile a nessun paese d'Europa. In Francia
esiste una fondazione pubblica che si chiama Conservatoire du
littoral che acquisisce coste e spiagge tutelandole come bene
comune, per non parlare dell'Inghilterra o degli stessi Stati Uniti
d'America culla del liberismo economico.
Ma
c’è di più: oltre il danno la beffa.
Come
è noto le nostre spiagge sono oggetto di erosione a causa
dell’antropizzazione selvaggia che spianando le dune,
cementificando l’entroterra e costruendo miriadi di porti
turistici, ha modificato l’ecosistema che non ha retto all’impatto.
E’
sicuro che in un domani prossimo i gestori privati delle spiagge
chiederanno allo Stato di sostenere le spese per le opere di difesa
necessarie per impedire alle mareggiate di spazzare via tutto,
realizzando barriere, effettuando ripascimenti, sistemando massi di
pietra e tetrapodi di cemento.
E
non sarà più possibile prevedere, neppure lontanamente, di
rimuovere e spostare con costi minori ed effetti migliori impianti e
attrezzature commerciali-balneari che l’attuale legislazione
definisce come “precarie“ e sono la concausa della modificazione
dell’habitat costiero.
Ma
quanto incassa (o sarebbe meglio dire “non incassa”) lo Stato
dalle concessioni del demanio marittimo?
Dai
dati ufficiali dell’Agenzia del Demanio Marittimo si riscontrano
102 milioni di euro nel 2012, mentre nel 2010-2011 circa 90 milioni
di euro e gli anni precedenti la metà.
In
sintesi lo stato incassa 3.400 euro a concessione, mentre gli incassi
che gli stabilimenti balneari realizzano ogni anno in Italia si
aggirano intorno ai 10 miliardi di euro.
Gli
incassi così irrisori sono dovuti ai bassi canoni di concessione
applicati in base alla legge 27 dicembre 2006 n. 296 comma 251 che
prevede: per le aree scoperte destinate alla balneazione 1,27 € x
metro2/anno e per quelle dove insistono attività commerciali 2,12 €
x metro2/anno.
Ma
nonostante questo, l’applicazione delle tariffe è bloccata da una
proroga governativa che impedisce l’entrata in vigore degli
adeguamenti del 2006.
Lo
scandalo appare più evidente se si passa a calcolare l’effettivo
canone che questi gestori privati delle spiagge pagano attualmente
alla collettività: in pratica uno stabilimento di 10 mila metri2 (1
ettaro) corrisponde un canone, applicando l’indice fermo a prima
del 2006, irrisorio di 1 euro e 10 centesimi a metro2/annuo per
complessivi 11.000 €/anno che equivalgono a 900 €/mese mentre
incassa milioni di euro considerando solo il fatturato denunciato
all’Agenzia delle Entrate.
Un
vero e proprio regalo!
Ma
c’è di più: nonostante la Legge lo prevedesse, in applicazione di
una disposizione europea del 1993, il governo negli ultimi 10 anni
non ha provveduto ad inserire le entrate delle concessioni nel
Rendiconto Generale dello Stato e quindi di conseguenza nel bilancio
non compaiono i ricavi derivanti dalle concessioni del demanio
marittimo.
Quindi
negli ultimi 10 anni è venuta meno la contabilizzazione di una somma
importante, seppur inadeguata.
Perché
è stato fatto?
Perché
c'è un ritardo nell'accatastamento delle cubature realizzate dai
concessionari sulle spiagge italiane?
Forse
se quelle cifre fossero state inserite nel rendiconto generale dello
Stato, e quindi del bilancio, più di qualcuno avrebbe potuto
rendersi conto dell’enorme truffa?
Di
certo avremmo evitato agli italiani qualche taglio, ad esempio sulla
sanità, sul trasporto pubblico o sull’istruzione.
La
vendita delle spiagge è un atto indecente che va assolutamente
fermato.
Non
possiamo consentire che venga cancellato un diritto basilare,
esistente da sempre, quello del libero accesso alle spiagge e al mare
che finora è stato garantito proprio dalla demanialità.
Occorre
mobilitarsi per impedire questa operazione disastrosa. Nel 2011 una
analoga operazione, che concedeva le spiagge ai soggetti già
titolari di concessione per 90 anni, contenuta nel decreto sviluppo,
venne bloccata dal Presidente della Repubblica e le concessioni
vennero ridotte a 20 anni senza per questo riuscire a soddisfare le
richieste della UE.
Appelliamoci
di nuovo al Presidente, mobilitiamo scienziati, università, geologi,
paesaggisti, investiamo il Ministero della Difesa e quello dei BBCC,
coinvolgiamo tutti coloro che riceverebbero un danno non risarcibile
da questa operazione priva di di sostenibilità muoviamoci tutti, fra
pochi giorni potrebbe essere troppo tardi.
Come
Verdi Ecologisti siamo pronti alle “barricate democratiche" e
ad assediare pacificamente il Parlamento per difendere un bene comune
che “appartiene a tutti".
Quando
l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa un dovere!