Giorni fa, su un canale
del digitale terrestre, in occasione dell’anniversario dei dieci
anni dalla scomparsa del grande Alberto Sordi, hanno trasmesso il
film “Un borghese piccolo piccolo” diretto dal grande Mario
Monicelli. La ri-visione di questo film, che vidi per la prima volta
tanti anni fa, mi ha segnato di nuovo nel profondo, come allora. Mi
ha scosso, lasciandomi dentro tanti interrogativi e perplessità.
E’ la storia di
Giovanni Vivaldi, impiegato al ministero, in prossimità della
pensione. Conduce la sua vita sempre allo stesso modo da anni,
dividendola tra lavoro e famiglia. Il suo giovane unico figlio Mario,
un ragazzo non molto brillante, si è appena diplomato in ragioneria,
con il minimo. Il compito di questo padre è di sistemarlo al
ministero prima che vada in pensione. L’obiettivo è che questo
ragazzo possa avere, come lui, una posizione modesta ma sicura,
aspirando ad una tranquilla pensione. Per fare questo Giovanni si
raccomanda in modo più o meno velato ai suoi superiori, arrivando
addirittura ad iscriversi ad un movimento massonico, su consiglio del
suo superiore. Si umilia, ma l’importante è sistemare il suo amato
ragazzo prima di andare in pensione.
Tutto si rompe quando,
recandosi nel luogo dove si tiene il concorso pubblico, per un caso
fortuito, il figlio viene ucciso da dei rapinatori in fuga, inseguiti
dalla polizia.
E’ qui che si rompe
tutto uno schema ben consolidato, la serenità scompare, e tutto
diventa drammatico, anche per la moglie, che per lo shock si
paralizza completamente e perde l’uso della parola, ma non la
lucidità mentale.
Stiamo parlando di un
film del 1977. Un’Italia che, da racconti fatti, pur essendo io del
’72 non ho memoria del periodo, era in crescita. Eppure nel film si
sottolinea una città, Roma, caotica, con il traffico e tante
automobili; le discussioni continue per accaparrarsi un parcheggio.
La necessità di abbonirsi i propri superiori al fine di ottenere
favori. La sensazione di avere sempre e solo diritti, pochi sono i
doveri. La non comunicabilità tra le persone perché incapaci di
ascoltare l’altro e gli altri. E soprattutto la voglia di farsi
giustizia da sé, perché non si crede nelle istituzioni; infatti il
protagonista del film, riesce a sottrarre l’assassino del figlio
alla polizia, facendolo rilasciare, fingendo di non riconoscerlo
davanti agli inquirenti, per giustiziarlo con le proprie mani.
Se tutti questi punti,
sottolineati nel film, li riportiamo al 2013, subito dopo le elezioni
nazionali, ci rendiamo conto che quel film è una fotografia
dell’Italia di oggi, nonostante i 35 anni trascorsi. Un’Italia in
cui i diritti sono sacri, e i doveri no; un’Italia in cui una volta
che si accaparra una poltrona, per quelli che ancora possono
accaparrarsela, non si molla più. Un’Italia in cui non esistono
valori, etica e moralità. Un’Italia in cui si vota per
convenienza, non pensando al futuro delle nuove generazioni.
Un’Italia in cui non si ascolta, ma si ha l’arroganza di sapere
quello che è buono per gli altri. Un’Italia in cui la corruzione è
sempre protagonista. Un’Italia che però, almeno questa volta, ha
saputo dare voce ad una parte consistente della popolazione che forse
si è stancata di vedere la stessa foto da troppi anni.
Gianni Casciano
Ricordiamo che in questi giorni, a dieci anni dalla scomparsa, il Complesso del Vittoriano ospita fino al 31 marzo 2013 la grande mostra “Alberto Sordi e la sua Roma” che vuole rendere omaggio al celebre artista mettendo in evidenza il suo straordinario rapporto con la capitale attraverso fotografie, filmati, lettere autografe, materiali audio e video, sceneggiature, installazioni, oggetti e documenti, molti dei quali inediti, provenienti dalla casa, dallo studio e dagli archivi privati.
Orario: dal lunedì al giovedì: 9.30 – 18.30; venerdì, sabato e domenica: 9.30 – 19.30
L’ingresso è consentito fino a 45 minuti prima dell’orario di chiusura
INGRESSO GRATUITO
Per informazioni: tel. 06/69202049
L’ingresso è consentito fino a 45 minuti prima dell’orario di chiusura
INGRESSO GRATUITO
Per informazioni: tel. 06/69202049